5 MINUTI CON UN MAESTRO YOGA
Intervista a Swami Muktibodhananda *
Sommario: Internazionalmente conosciuta per il suo commento all’Hatha Yoga Pradipika, il più autorevole testo sullo Hata yoga, Swami Muktibodhananda parla della sua vita, del tempo passato con il suo guru Swami Satyananda e di come continui a ispirarsi allo yoga
Cosa l’ha avvicinata alla pratica dello yoga?
Inizialmente volevo smettere con la danza classica e avevo deciso di provare lo yoga come pratica fisica, ma ho presto realizzato che era molto di più e così ho proseguito concentrandomi sui benefici emotivi, mentali e spirituali che mi era capitato di sperimentare.
Quando è andata a Munger a studiare con Swami Satyananada era molto giovane e quelli erano tempi dove nell’ashram si seguiva una pratica molto intensa. Cosa ricorda di quel periodo?
Sedere vicino a Sri Swamiji, massaggiare le sue gambe e i suoi piedi, ascoltare i satsang, discutere con lui delle pratiche di yoga, cantare i suoi kirtan preferiti, insegnare yoga nell’ashram al suo posto. E anche stare nel suo ufficio e parlare a lungo oppure giocare con lui e Swami Niranjan durante la mia prima pioggia monsonica.
Oggi, nella sua pratica yogica, cosa la ispira di più?
L’ispirazione mi arriva da quel sentimento di comunione con le presenze più sottili e dolci che la pratica mi offre.
Il suo commento all’Hatha Yoga Pradipika è conosciuto in tutto il mondo. Come si è sentita nel trattare un testo così venerabile e quale rilevanza può avere per i praticanti di oggi?
Sono riconoscente a Sri Swamiji che mi ha permesso di essere utile alla società. Le pratiche sono preziose tanto per i praticanti di oggi come per quelli di ieri. Ogni persona ha bisogno di strumenti per gestire la mente e le emozioni e questo può solo iniziare con delle pratiche fisiche. Il corpo è un’estensione della mente, è la parte più tangibile su cui si può lavorare. Inoltre, queste pratiche fisiche sono fondamentali per capire meglio il proprio sé. Se non possiamo capire noi stessi, come possiamo capire gli altri? Dopo anni trascorsi in ashram con il guru, è tornata a una “vita normale” e ha formato una famiglia. Com’è stata la transizione fra due esistenze così diverse? Ha mai rimpianto i bei vecchi tempi? Nel 1985 ho saputo che dovevo lasciare l’ashram. Avevo pensato che Sri Swamiji mi stesse mandando via, in realtà era il governo indiano che stava mandando via tutti gli stranieri dopo la nomina a Primo Ministro di Indira Gandhi. Così subito dopo sono tornata in Australia, il mio Paese d’origine. Essendo nata “nell’anno del maiale”, ho buone capacità di ripresa e sono di mentalità aperta. Non credo che nella vita si “torni indietro”, anzi, in questa circostanza ho intravisto l’opportunità di far crescere le mie conoscenze. E questo è ciò che la vita continua a insegnarmi. L’intero mondo può essere un ashram, se si tiene la mente focalizzata sulle proprie intenzioni e sul guru, e si permette al divino di sostenerci nelle nostre imprese.
Condividerebbe con noi qualcosa della sua vita che potrebbe interessare agli studenti?
Penso sia interessante il fatto che io sia stata capace di amalgamare la mia esperienza yogica nell’ashram con la mia vita nei sobborghi senza diventare una fanatica, conservando la mia natura e comprendendo ciò che la vita ci insegna. Noi possiamo rifiutare gli insegnamenti, contrastarli oppure cercare le opportunità che si offrono. Mantenendo il mio cuore e la mia mente focalizzati sulla guida di Swami Satyananda, continuo ad assistere chi vuole conoscersi attraverso lo yoga. Conosco molta gente interessata allo yoga ma non al punto da dedicare le proprie vite allo yoga stesso e al guru, ma li comprendo e ho trovato un terreno comune attraverso il quale comunicare. Inoltre, mi applico molto nel cercare di capire il significato dei testi yogici in relazione al mondo moderno e fortunatamente ho la possibilità di spiegare questi testi con i miei libri poiché a 33 anni ho ricevuto da Paramahansa Swami Niranjan il titolo di Yogacharya (maestro yoga).
Cosa spera di infondere nei suoi studenti quando insegna yoga?
1 Che cerchino costantemente di diventare sempre più consapevoli di loro stessi.
2 Che sviluppino la facoltà di sapersi osservare.
3 Che realizzino il proprio scopo nella vita e anche nel mondo.
4 Che capiscano che l’unica persona che possono controllare sono loro stessi e che trovino i mezzi più efficaci per farlo.
5 Che comprendano l’impatto dei loro pensieri e trovino il modo giusto per canalizzare questo processo mentale.
6 Che prendano coscienza dei propri bisogni e della forza dei chakra e trovino un percorso efficace per esprimerli.
7 Che si impegnino nello yoga quotidianamente, cominciando con meno di 10 minuti. Più di 10 minuti può essere difficile, lo so, ma una pratica di 10 minuti è facile e lascia con la sensazione che in realtà si potrebbe fare di più.
8 Che permettano a loro stessi di gioire della vita.
Come vede l’evoluzione del metodo Satyananda e la sua importanza in particolare nello yoga insegnato in Occidente?
Gli insegnamenti e le pratiche del Satyananda Yoga sono gli stessi che Shiva ha passato a Parvati migliaia di anni fa. Queste pratiche sono ancora valide perché, se fatte in modo costante, hanno sempre funzionato. Paramahansa Niranjanananda ha l’incredibile abilità di rendere accessibili queste pratiche all’uomo moderno. I suoi insegnamenti e i suoi scritti continuano a illuminare persone di tutte le società moderne. Il Satyananda Yoga comprende un panorama di yoga e tantra talmente vasto che c’è qualcosa per tutti.
C’è altro che vuole aggiungere?
Trovate ciò che permette al cuore di cantare e seguite quel sentiero. Lo yoga è un valido punto di partenza per aiutare a realizzare lo scopo della propria esistenza e permettere alla creatività interiore di esprimersi.
Swami Muktibodhananda, grazie del tempo che ci ha concesso…
Grazie delle domande, mi sono divertita.